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Caro lettore,

riporto un pezzo riferito all’articolo pubblicato su

http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/articolo.jsp?id=11629, in cui si accenna alle possibilità che offre l’utilizzo dell’omeopatia in ambito veterinario, facendo riflettere sia sull’economicità delle terapie, che sull’assenza di effetti tossici, che sull’inesistenza dell’effetto placebo nei nostri animali….

“Un cane non guarisce perché si è convinto che può guarire”

I risultati ottenuti in veterinaria “rendono molto deboli le tesi di quanti sostengono che l’omeopatia agisca esclusivamente per effetto placebo. E’ difficile sostenere che la mastite di una mucca da latte o la dermatite di un cane, come pure una displasia dell’anca, guariscano perché l’animale si è convinto che può guarire”. A livello europeo, perché un allevamento possa definirsi “biologico” deve essere trattato con medicine naturali (omeopatia, ma anche fitoterapia o agopuntura). Molti allevatori hanno così scoperto come l’omeopatia, oltre che guarire rapidamente e bene i loro animali, faccia spendere meno e renda più remunerativo l’investimento in salute. La Fiamo ha un proprio dipartimento che si occupa specificatamente di medicina omeopatica in veterinaria. Fra le scuole aderenti alla federazione, ve ne sono numerose riservate a questa categoria.

 

Patologie di confine – L’omeopatia non guarisce dal cancro

Con il termine “Patologie di confine”, vengono definite le tante malattie che, pur ben diagnosticate e definite con accuratezza, non hanno una terapia che sia in grado di guarirle quando non almeno di arrestarle. Sono le patologie autoimmunitarie, le malattie croniche degenerative, le patologie con diagnosi incerte e gli stadi conseguenti alle terapie antineoplastiche. In tutti questi casi la terapia ha solo un intento palliativo: pur mantenendo una condizione di stand by della patologia non riesce a farla regredire o mantiene il risultato, ma a prezzo di importanti effetti collaterali. Numerosi pazienti con patologie di questo tipo si rivolgono all’omeopatia, “perché sperano di essere curati oppure perché hanno avuto modo di assistere a guarigioni di compagni di malattia che si erano rivolti ad un omeopata”. Ogni omeopata “ha chiaro che i risultati in questo tipo di patologie sono molto legati alla gravità del caso specifico e all’associazione della singola patologia con altri quadri patologici”. In genere “non alimenta illusioni e non sottrae i pazienti alle cure in atto, se non dopo aver constatato un progressivo miglioramento del quadro clinico e strumentale”. L’omeopatia non guarisce il cancro, ma sicuramente si prende spesso cura dei pazienti con malattie tumorali e ne migliora la sintomatologia, anche quella conseguente alle chemioterapie e alle radioterapie.

http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/articolo.jsp?id=11629



LIONE Il futuro dell’ oncologia e dell’ omeopatia sta in una sola parola, “complementarietà”. Ad essa guardano con la consapevolezza dei limiti da superare gli oncologi, i medici di medicina generale, i farmacisti, i sociologi e gli omeopati di diverse nazionalità intervenuti alla conferenzadibattito dal titolo “Oncologia, cure di sostegno e omeopatia” che Boiron ha organizzato di recente alla Facoltà di medicina e maieutica Charles Mérieux. In Europa oltre un terzo dei pazienti colpiti da un cancro utilizza le medicine complementari, in Francia quasi il 60%. L’ omeopatia integra le cure tradizionali nel 37% dei casi di tumore al seno. L’ omeopatia guarisce il tumore? «Certamente no, lo sappiamo, ma fornisce un contributo: riduce la fatica, allevia gli effetti collaterali della chemio, aiuta i pazienti a non essere costretti ad interrompere le terapie a causa del vomito, delle mucositi e di tanti altri disturbi che fanno star peggio del tumore stesso», afferma Jean-Claude Karp, medico generalista consulente omeopata nel Servizio di oncologia e radioterapia dell’ ospedale di Troyes. Gli fa eco Jean-Philippe Wagner, oncologo medico al Robertsau di Strasburgo: «Noi oncologi guardiamo il tumore, l’ omeopata guarda il paziente, questa sorta di delega spaventa gli oncologi, in realtà si aiuta il malato a vivere meglio». Uno studio condotto dal 2005 al 2008 dalla sociologa Anne-Cécile Bégot ha rivelato come l’ angoscia, le carenze delle medicine tradizionali, gli effetti collaterali e la mancanza di ascolto siano i motivi per cui i malati scelgono di integrare la terapia con le cure omeopatiche. Nella maggior parte dei casi tutti i trattamenti vengono somministrati in ospedale, non tutti i pazienti però hanno accesso alle cure di sostegno – dicono i medici – inoltre il malato oncologico trascorre il 90% del suo tempo a casa. Occorre quindi sensibilizzare la filiera tradizionale medica: l’ oncologo, il medico di famiglia, il farmacista, sviluppando un rete ospedaleterritorio di cui faccia parte integrante l’ omeopata. «I farmacisti vedono tutti i giorni i clienti-pazienti con patologie croniche, molti di essi ci chiedono “come mai il mio medico non mi ha parlato di questa opportunità di cura per aiutarmi”? – racconta Francois Roux, farmacista a Toulouse – quello di consulenti per le cure di sostegno è un modo per collaborare nella filiera». Da qui sembra lontano il tempo in cui l’ omeopatia si contrapponeva alla medicina con un approccio settario da entrambi i lati, ma resta un ultimo passo, tutt’ altro che secondario, perché entri in ospedale in piena legittimità: la prova di efficacia. Qui le strade si differenziano per questioni di metodo: «Arriveranno i dati – affermano i ricercatori Boiron – con nuove metodologie che indagano per fasci di prova (somma di sperimentazioni mirate, ndr) anziché su studi randomizzati in doppio cieco, non adatti all’ omeopatia». Resta da vedere se la comunità scientifica nel suo complesso sarà disposta ad accettare tale modalità come “prove”.

tratto da Repubblica del 07 febbraio 2012 —   pagina 32   sezione: SALUTE di  MARIAPAOLA SALMI

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/02/07/tumori-effetti-collaterali-da-chemio-omeopatia.html


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